Per la rubrica “La voce dei nostri Aufgussmeister” abbiamo oggi un viaggio in Banja del nostro socio Paolo Salituro
Ricordiamo che chiunque può inviare un proprio articolo a comunicazione@aisa.it.
Il mio viaggio in una Banja di Mosca
Prima della pandemia, ho avuto l’occasione di trascorrere diversi mesi a Mosca, distribuiti su un arco temporale di tre anni. In questo periodo ho potuto frequentare un luogo straordinario: le Sanduny Bath Houses, fondate nel 1808. Un’istituzione per ogni moscovita, seconda solo alla banja privata nella propria dacia. Oggi vi porto con me in un viaggio virtuale tra sorprese e curiosità, per raccontarvi la mia prima visita alla leggendaria Sanduny Banja.
La prima vera sfida è stata trovare l’ingresso giusto. Non perché fosse nascosto, ma perché ce ne sono davvero tanti: tre saune femminili, distribuite su tre livelli diversi, e quattro maschili, su quattro livelli, oltre a quelle private. Tutto rigorosamente separato per genere. Io, grazie al cambio favorevole dell’epoca, accedevo al primo livello maschile (e talvolta al secondo, quando il primo era chiuso per manutenzione). Dopo qualche tentativo e sorriso imbarazzato, vengo gentilmente reindirizzato all’ingresso corretto.
Superata la soglia, mi accoglie la cassa, dove ricevo un braccialetto con chip. Subito dopo, il guardaroba: d’inverno si lascia il piumino, mentre d’estate resta chiuso. Non mancano dettagli sorprendenti, come l’angolo per la lucidatura delle scarpe o il servizio di lavanderia rapida. Salgo una rampa di scale e arrivo nello spogliatoio, dove mi aspetta la prima sorpresa: niente armadietti, ma lunghe file di divani in pelle, ognuno con ganci individuali per appendere gli abiti. Ci si spoglia, si indossa l’accappatoio e si ripongono gli oggetti personali in apposite cassette di sicurezza.
Attraverso una porticina e mi ritrovo in un grande stanzone. Da un lato ci sono le docce; dall’altro, una porta conduce a una spettacolare piscina interna con colonnato in stile romano e soffitto in vetro colorato. Al centro della sala, otto panche in marmo ospitano bacinelle colme d’acqua calda in cui si immergono i venik: fasci di rami di betulla o quercia, che rilasciano un’intensa colorazione marrone tannica. Un trattamento “usa e getta”, perché riutilizzarli sarebbe come riciclare l’acqua della pasta. Accanto, due enormi tini di legno con acqua fredda corrente, abbastanza grandi da ospitare comodamente quattro persone. Ricordo ancora le scalette bagnate e la prudenza nel salire a piedi nudi: l’acqua traboccava a ogni immersione.
La sala della sauna rappresenta il vero sancta sanctorum della banja. Una lavagna scritta in russo elenca orari ed eventi, ma per me all’epoca erano solo simboli incomprensibili. La porta della sauna è sempre aperta: varcarla significa entrare nel cuore sacro della tradizione. Alla sinistra, un alto muro di mattoni cela il braciere, raggiungibile solo da una porticina metallica a quattro metri d’altezza. Con un lungo mestolo si getta acqua con precisione chirurgica, mentre i veterani versano secchiate d’acqua con maestria. Niente ghiaccio, aromi o ventilazione con asciugamani: la tradizione russa è un’altra cosa. Una scala centrale di legno conduce ai soppalchi laterali, dove si trovano panche e tavoli massicci pensati per resistere al peso di un corpo umano. È qui che si viene massaggiati – o meglio, fustigati – con i venik. Immaginate due fasci di rami bagnati che volteggiano nell’aria prima di colpire la pelle, spargendo gocce e foglie tutt’intorno, mentre un aroma intenso si diffonde nella sala: una vera e propria distillazione istantanea.
Dopo la sauna, è d’obbligo un tuffo rigenerante nel tino d’acqua fredda e una nuotata nella piscina interna. Tornato nello spogliatoio, un cameriere passa a prendere gli ordini: ogni divano ha davanti un tavolino con le ruote, dove si possono appoggiare bevande e snack. Io scelgo una limonata casalinga con miele dell’Altai: mi arrivano due mezzi limoni, una bottiglia di Borjomi e un vasetto di miele cristallizzato. Devo prepararla da solo, spremendo e mescolando. Mentre mi rilasso, osservo i miei vicini di posto – padre e figlio francesi – che divorano un piatto di gamberetti bolliti, quasi trasparenti. Dopo tre ore di caldo, freddo e relax, arriva il momento di lavarsi, vestirsi, pagare ed uscire.
Quanto somigliano le “banja” italiane a quelle russe? Lascio a voi la risposta, anche se immagino già che qualche collega si starà innervosendo. Per le coppie che vogliono vivere l’esperienza insieme, Sanduny offre anche aree private per due o più persone, sempre rigorosamente separate da quelle comuni.
Visitare una banja tradizionale russa non è solo una questione di sauna: è un rituale, un’esperienza culturale, una sfida ai sensi. Un’immersione profonda – in ogni senso – in un mondo fatto di tradizione, vapore, legno e silenziosa maestosità.
Paolo Salituro – Aufgussmeister AISA